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“Io, noi, il Parmigiano Reggiano e Alma: il racconto di un’emozione”

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Tanto per cambiare, anche questo post NON è una ricetta. E’ il racconto di un’esperienza splendida, che mi è capitato di vivere il 22 febbraio scorso in compagnia di altre blogger: siamo state invitate dal Consorzio Parmigiano Reggiano alla scuola ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana, per la presentazione della terza parte della Parmigiano Reggiano Academy.

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Un’ esperienza assolutamente incredibile, iniziata al nostro arrivo con la presentazione del terzo ed ultimo step della Parmigiano Reggiano Academy, percorso virtuale ideato dal consorzio del Parmigiano Reggiano per far conoscere a fondo le sue particolarità. Una presentazione che, se volete, potete gustarvi anche voi guardando questo video.
Subito dopo questa, noi siamo passati alla pratica. In due fasi. La prima, dedicata all’analisi sensoriale del parmigiano reggiano nelle sue diverse sfumature:  con l’aiuto di Igino Morini del Consorzio del Parmigiano Reggiano, abbiamo assaggiato e analizzato il 12 mesi, oltre 22 mesi e oltre 30 mesi.

Parentesi: se vi interessa questo aspetto, che non trascrivo per brevità e perché un conto è assaggiare l’altro è leggere, potete guardare questo video. Magari, procurandovi prima tre diversi assaggi di parmigiano a stagionatura diversa.



Oppure, se preferite la lettura, qui trovate la guida ufficiale all’analisi sensoriale. Estremamente interessante, secondo me.               

Finita questa parte, la sorpresa. Siamo state chiamate alla vestizione – e non potete immaginare la gioia di tutte nello scoprire che la giacca che stavamo per indossare sarebbe stata nostra per sempre! – e accompagnate in cucina per preparare un pranzo – che poi abbiamo consumato tutti insieme – sotto la guida degli chef dell’Alma.

Un’ emozione incredibile, muoversi in quella cucina. Assolutamente irraccontabile. Per cui, accontentatevi delle foto. Aggiungo solo che a me è toccato questo piatto: che lo chef mi ha assegnato dopo avere detto che io *avevo la faccia da bigné”.


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Non sono riuscita a portarlo a termine, nonostante i cazziatoni dello chef, perché nel preparare la brunoise di tartufo mi sono tagliata un dito, che ha sanguinato per un po’. Per cui, dato che a noi i bigné al sangue non piacciono, ho accolto con gioia l’aiuto di Ada e Stefania (che mi hanno aiutato una a preparare la vellutata e l’altra a riempire i bigné). 

Comunque, non mi pare siano venuti male  nonostante le ferite sul campo… che ne dite? 🙂


Il tutto, come se non bastasse, chiuso da un’ennesima esperienza unica persino per me che pure vivo in zona di produzione: il taglio di una forma sotto i nostri occhi.

Comprensiva di assaggio, ovviamente. 

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