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“Quando la paura del nuovo diventa paura del blogger”

Me lo dicono in parecchi: a certi articoli non bisognerebbe neppure rispondere. E’ quello lo scopo, suscitare polemica per far parlare di sé e aumentare il numero di click. Per cui, il comportamento migliore – dicono – è ignorare per non regalare visibilità (che resta poi lo scopo di certe provocazioni).

E forse chi lo dice ha pure ragione.

Resta un fatto però: anche se questa logica tutta digitale è vera – e sicuramente lo è – io amo riflettere. E farlo a voce alta: chiedendomi se , sia davvero arrivata l’ora di Liberare il food dai blogger e di ridarlo in mano ai giornalisti.

No, non lo è: per una serie di motivi. Primo tra tutti perché il mondo è cambiato e con lui sono cambiate le figure professionali. Forse, e dico forse, è accaduta la stessa cosa quando le prime rotative hanno sfornato i primi giornali: me li immagino, gli scrittori, con cipiglio severo chiedersi chi fossero queste figure, che pretendevano di spostare la parola scritta dal libro al giornale. Non durerà, avranno detto: aggrappandosi all’immagine fragile della carta da giornale così debole rispetto a quella rilegata dei loro libri.

Così come lo avranno pensato, forse, gli amanuensi rispetto alle diavolerie Gutenberg-iane. Non sarebbero durate: vuoi mettere il fascino di un libro costruito in anni di duro lavoro rispetto a quella diavoleria meccanica a base di caratteri mobili?

Insomma, la novità fa paura: e ne fa ancora di più quando lo strumento ha una potenzialità ernome, soprattutto in termini *democratici*. Ovvio quindi che faccia paura il web e le nuove figure che grazie a questo hanno preso vita.

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Ecco quindi fiorire articoli come questo in cui si legge:

I social e i blog hanno allungato i loro tentacoli sul mondo del food fino ad avvolgerlo e, spesso, sminuirlo mentre i giornalisti “navigati” lavorano alla ricerca della “verità” ma, ahinoi, rischiano di avere meno click

Rischiano di avere meno click. Ecco, il punto cruciale – a mio parere – è tutto in questa frase. Il problema non è la preoccupazione di un abbassamento della qualità dell’informazione – stiamo parlando di cibo e quindi di tanti altri problemi, primo tra tutti la salute – ma il confronto quantitativo a base di click.

Un punto cruciale che in cinque parole dice molto del male di una categoria in sofferenza e – di conseguenza – insofferente. Perché il mondo del giornalismo, di questi tempi, non è che si distingua poi tanto per qualità dell’informazione, diciamocelo. Un esempio tra tutti? Le bufale dilaganti: per esempio quella sui ritrovamenti di rolex, sextoys e statuette di padre Pio a Modena Park dopo il concerto. Oppure il rilancio continuo di notizie di agenzia, a base di copia incolla: la voglia, la capacità di spiegare sono ormai fuori moda. Importante è essere sul pezzo, a qualunque costo. Anche montando polemiche ad hoc, perchè no?

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Attenzione, io con questo non intendo dire che il problema non esista: certamente esiste un problema *di qualità* ,  ma questo non riguarda solo i foodblogger ma anche i giornalisti. Così come riguarda le aziende, e le agenzie di comunicazione che troppo spesso non conoscono abbastanza le dinamiche social per capire quanto i follower di tanti siano veri o finti (sì, ci sono dei modi per leggere i dati e per capirlo) e affidano la loro pubblicità in base a numeri che non vogliono dire assolutamente nulla e che magari sono comprati con pochi euro.

Quello che però continuo a pensare è che sarebbe semplice e naturale pensare ad un fronte comune giornalisti e blogger che si pone come obiettivo la qualità della comunicazione. Perché di questo, alla fine si tratta e non di stabilire supremazie che non esistono se non nella testa di chi non ha capito l’evoluzione del mondo del food. Io onestamente della recriminazione dell’ *e allora voi?* non ne posso più: E credo che sarebbe ora che insieme, finalmente, iniziassimo a discutere blogger e giornalisti della monnezza che troppo spesso ci circonda.

Sono un’utopista?

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