Sono giorni che leggo questa frase ripetuta a raffica – vabbè, le parole non sono sempre queste, ma il concetto quello resta – per sostenere le ragioni di una polemica nei confronti di un post in cui sara sostiene che “è importante che uno spazio privato aperto al pubblico, come è un blog, comunichi davvero qualcosa, abbia davvero uno scopo ultimo. uno fra tutti: la crescita culturale.”
Non ho voglia di entrare nel merito della polemica – che ha poi toccato un altro post, di Lisa e Giovanna – e delle varie posizioni che, con veemenza spesso eccessiva, ho visto delinearsi in questi giorni: ognuno è perfettamente libero di usare il proprio spazio come gli pare, per raccontarsi nel modo che più gli garba.
Quello che mi ha francamente sorpreso è stata la pretesa, da parte di alcuni, di contestare – in nome della propria libertà di non essere rigorosi – la libertà di altri di esprimere un sentimento di lontananza da un approccio alla cucina fatto troppo spesso di approssimazione, di scarsa conoscenza degli ingredienti, di ricette tanto ricche di particolari su marchi commerciali da far pensare che, più che il risultato finale, interessasse l’esibizione di questi.
Per quanto mi riguarda, non posso non riconoscermi nelle parole di quei post: amo infatti la semplicità e amo il rigore che a questa spesso si accompagna. Cucinare per me è soprattutto un viaggio di scoperta: attraverso gli ingredienti, innanzitutto, attraverso i modi di combinarli e il confronto tra i vari risultati possibili. Se non vivessi questo viaggio, non mi divertirei. E questo vale per tutte le mie preparazioni: dalle più semplici alle più elaborate. E’ per questo che mi piace porre la massima attenzione nella scelta degli ingredienti: perché la cucina è la mia “coccola personale preferita“. Quando cucino sono felice, e lo sono ancora di più se posso vivere i colori, i sapori, i profumi che alla cucina si accompagnano.
Per cui, sappiatelo, non mi sentirete mai dire cose tipo “che vuoi che sia, in fin dei conti è solo una ricetta“. Anche nel caso di cose facili e banali, come questi biscotti che preparo da anni ormai. Facili e veloci: eppure ogni volta che li offro – chissà perché – riescono a sorprendere nonostante la loro semplicità.
BISCOTTI SALATI AL PARMIGIANO


- farina 600g
- burro 300g
- tuorli 9
- parmigiano grattugiato 200g
- sale grosso (io ho usato il fior di sale)
- 1 albume
- pepe nero, noci, nocciole, pistacchi.
- Si mescola la farina con il parmigiano e si versa il tutto a fontana sulla spianatoia. In mezzo, si aggiunge il burro a tocchetti (a temperatura ambiente quindi morbido) e i tuorli e si impasta il tutto velocemente.
- Si divide quindi l'impasto in tre porzioni ed si aggiunge alla prima una spolverata abbondante di pepe nero. Alla seconda, noci pestate grossolanamente nel mortaio. Alla terza, nocciole leggermente tostate e pestate pure queste.
- Si formano tre palle, che si avvolgono con della pellicola e si fanno riposare in frigo per ventiquattro ore. Al momento di stendere, si smattarella la pasta in modo da ammorbidirla e la si stende, con il mattarello, a 5 mm. Si tagliano quindi i biscotti disponendoli su una teglia da forno rivestita con della carta da forno, mettendoli a riposare in frigo per un'ora almeno. Prima di infornare (a 200 gradi), una spennellata di albume e una spolverata di sale.
Non me lo sentirete mai dire, quindi, che “é cosa da niente”. Perché se una cosa ci piace davvero, se l’amiamo, una cosa da niente non lo sarà mai. E se così la trattassimo, le faremmo un torto, infatti. Enorme.
“Perché a furia e’dicere che è cosa e niente…”
9 COMMENTS
Buona questa frolla salata! Mi fa un sacco voglia di assaggiarle questi biscotti!
Elizabeth David e’ una grande scrittrice di cucina molto famosa da queste parti (UK) e anche negli USA, ma sconosciuta in Italia (peccato)(attiva fra gli anni 50 e i primi anni 80 del Novecento). Mi sono sempre rimaste in mente queste sue parole, nella prefazione ad uno dei suoi libri: (traduco liberamente): ” …il”faites simple” di Escoffier non significa “faites slpashdash” …(fare alla carlona, velocemente e senza attenzione)”. Soprattutto ora che grazie a Dio ci siamo liberati dal vecchio giogo delle gerarchie gastronomiche (nel senso di alimenti si/alimenti no) e tutto ha diritto ad apparire in tavola, purche’ ben fatto, mi sembra che la cura della proposta gastronomica, quanto a intelligenza di esecuzione, ricerca di qualita’, fantasia d’espressione, calore emotivo ecc ecc, sia sempre piu’ importante. Traguardo molto difficile da raggiungere, ma importante non perderlo di vista. Io, che ho un piccolo ristorante, sono ben consapevole di raggiungerlo raramente (per incapacita’ mia, per le difficolta’ di reperire le materie prime, per scarsa preparazione del pubblico, insomma per un insieme di ragioni)… ma me lo ripeto quasi ogni giorno, come un matra: “simple, keep it simple, simpler!”> “semplifica, ancora di piu’, sottrai, rivedi, cerca nuovi equilibri ecc ecc…”. Ecco dunque che quando, raramento, riesco a centrare l’obbiettivo, mai e poi mai saprei dire: e’ cosa da niente, perche’ so (e penso di essere sufficientemente critico con me stesso), la fatica per arrivare a quel “niente”. Faccio un esempio e poi chiudo: quest’estate (la piu’ fredda e piovese degli ultimi cento anni, qui in UK), ho avuto la fortuna per una decida di giorni di avere a disposizione dei pomodori biologici, di quelli saporiti ma brutti, bitorzoluti, di diversi colori e tipi, qui in inghilterra una grande rarita’ e un gran lusso. Non ci ho pensato due volte: il piatto del giorno e’ stato: a platter of tomatoes from Trill Farm + stefano’ home baked bread ( di cui vado fiero e che mi e’ costato anni di studio). stop. un giro di un grande olio di oliva e sale Maldon. Vero lusso, NON cosa da niente. ciao stefano
davvero un idea splendida da fare al posto della classica pasta sfoglia
“Ma kayn mushkil”, diceva il mio amico marocchino Majid ogni volta che si presentava una difficoltà: “Non c’è problema”, un po come “è cosa ‘e niente”. La differenza è che, nel suo caso, lui i problemi li risolveva, ecco perché “Ma kayn mushkil” :-). E’ cosa ‘e niente invece minimizza. Minimizziamo, allora, giacché “è cosa ‘e niente” è nel nostro DNA quanto il “pare brutto”: minimizziamo non il biscotto salato, il rigore, le scelte, ma il resto. Come Sara, voto per le sane chiacchiere e le belle ricette.
…e poi la soddisfazione di fare le cose con cura non ha prezzo. grazie teresa, in tutto questo comunque auspico che la polemica si sfiammi, perché il mondo del cibo è troppo bello per essere macchiato dai chiacchiericci. le sane chiacchiere, come queste: quelle sì che devono essere pane quotidiano (o biscotti salati :))
Cara Teresa, sono veramente magnifici i tuoi biscotti e molto vere le parole che dici circa il valore di una ricetta ma sopratutto del proprio sentire. Ho seguito la polemica dall’esterno perché so che se fossi intervenuta mi sarei infervorata. Sono d’accordo con tutto, certo, stagionalità, prodotti, cura nella scelta e qualità, ma spesso ciò in cui si crede e che si sostiene cozza contro le situazioni quotidiane, la mancanza di tempo, l’impossibilità di fare altrimenti. Non mi piacciono gli atteggiamenti talebani, il puntare il dito, il mettersi in posizione “giudicatoria”. Mi piace la tolleranza, la tranquillità interiore di chi ha fatto un scelta consapevole ed è felice di averla fatta. Perché questo non ti porta a giudicare gli altri, che è l’impressione che quei post mi hanno fatto. Il principio in sostanza è giusto. Il modo no.
Ti abbraccio e grazie per questa ricetta che conserverò gelosamente. Pat
Contro quella possibilità, ci cozziamo tutte, prima o poi: negarlo sarebbe presuntuoso. Ma io non ho visto atteggiamenti *talebani* – ma talebana, io, mi ci sono sempre definita da sola 🙂 – quanto piuttosto il sottilenare la necessità di una maggiore consapevolezza. Si puo’ non essere d’accordo per carità: ma io non capisco il perchè contestare il diritto a qualcuno di dire cio’ che crede sulla propria bacheca. Questo mi ha colpito più di tutto, e tanto.
Abbraccio a te. 🙂
Sfiziosissimi!!!
E facili. 🙂 Il che non guasta. Grazie. )