Ci sono cibi che, più di tutto, sanno di nostalgia. Come l‘uovo a filoscio, appunto.
Pochi ingredienti poveri, messi assieme senza tante complicazioni. E pochi piccoli gesti: il su e giù della lama che affetta sottile la provola – questa, meglio se un po’ asciutta, se non addirittura secca, come il più classico degli avanzi da frigo – e il roteare veloce di forchetta in un piatto, per sbattere le uova. E poi la cottura: veloce, accompagnata dallo sfrigolare dell’olio.
Sono sempre andata pazza per questa frittata, anche quando ero piccola: era la cena del ripiego improvviso, di quando cioè in casa proprio non c’era nulla altro. E proprio per questo, aveva il sapore di una sorpresa. Spettava a mio padre prepararla: non cucinava mai, e anche forse i suoi piatti mi sembrava avessero un sapore particolare, diverso dalla cucina di tutti i giorni a cui ci aveva abituato mia madre.
Un sapore, allora, fatto di meraviglia. Oggi, invece, di nostalgia.
Come si prepara l’uovo a filoscio
Per due persone servono:
4 uova (come dice Maria: “con meno uova, non è filoscio)
1 etto di provola affumicata (ho usato quella de La Tramontina)
olio e.v.o.
pepe nero
sale
poca mollica di pane raffermo
Procedimento
Prima di tutto, affettare sottilmente la provola. Poi, rompere le uova e sbatterle leggermente con una forchetta. Aggiungere un po’ di sale, di pepe nero macinato al momento e la mollica di pane..
Versare nella padella quando l’olio extravergine di oliva è ben caldo: aspettare che si ispessisca e disporre le fette di provola in modo da coprire la superficie di quella che, lentamente, sta iniziando ad assomigliare ad una frittata.
A questo punto, inizia la manovra (per nulla semplice, ma per reimpararla ho rotto le scatole ad Antonia) per farne un filoscio: cioè si inizia a ripiegare su se stessa la frittata fino a quando non appare ben cotta.
Ovviamente, va servita calda. Con formaggio colante, cioè.
Senza questo, infatti, non è filoscio.
31 COMMENTS
Un piatto apparentemente povero, che ci fa tornare bambini! E poi ci salva quando non sappiamo che cosa preparare, magari senza sporcare tutta la batteria di pentole!!!
Un encomio a Maria che ha suggerito il pane per “pulire” il piatto. E’ una vera genialata. Il Guerrini l’avrebbe sicuramente citata.
Noi si usa semplicemente il formaggio di latteria 3 mesi tanto l’uovo di per sè non è schizzinoso 😉
buona questa semplice omelette!
anzi omelette 🙂
anche da me si chiama omlette 🙂
Teresa, io mi vergogno anche un po’ per la domanda, ma…il pane? deve essere sbriciolato? ammollato in acqua o latte? deve essere a pezzetti più o meno grandi e rosolare insieme all’uovo? 🙂
Non ho proprio capito: sigh!
(vorrei farla per stasera, sai com’e’! 😉 )
Accie anticipatamente!
Il pane mi ha insegnato a metterlo maria: prende dei pezzetti di pane raffermo e ci ripulisce il piatto sporco d’uovo, e poi lo mette sull’uovo in cottura insieme alla mozzarella. Tutto qui. 🙂
Fantastico! grazie 🙂
E’ bellissimo quando queste ricette che provengono generazione dopo generazione sino a noi, ti suggeriscono un mondo scomparso: il gesto semplice del pane – che forse nella ricetta si potrebbe anche evitare, a mio avviso reggerebbe bene anche solo uovo e provola – ti dice che nulla si sprecava: il pane raffermo (un riutilizzo già di per sé) serviva evidentemente da ‘leccapentola’: nulla di quell’uovo doveva essere sprecato!
Un insegnamento davvero straordinario… e attraverso una ricetta! tzè altro che gastrofighette! ‘enogastrostoriche’!! 😉
quella del pane non la sapevo nemmeno io ma mi sembra un accorgimento intelligente e che riprenderò. io il ‘filosh’ lo faccio abitualmente ma arrotolato in più giri e a volte anche con fette sottili di salame o prosciutto cotto. poi, se ho un po’ di sugo di pomodoro, lo nappo e lo spolvero col parmigiano. mi piace molto anche l’idea della ricotta 😉
Che felicità il filoscio, dentro io ci metto anche la ricotta 🙂
Quindi provola e ricotta? mai provato…
Si infatti. Mia madre lo chiama “filoscio con la ricotta”, è un variante di quello classico 😀
mio fratello inorridisce alla vista del formaggio filante, io invece accorro come le api al miele. a volte penso mi abbiano adottata 🙂 che bello il pensiero d’apertura: ci sono sapori talmente evocativi e personali che è difficile raccontarli.
si’, difficile. Ma ti tornano in bocca ogni volta che ci pensi. Come fosse allora.
Quanto mi garba il suono del termine filoscio: dà immediatamente l’idea di quanto confortante debba essere.
Lo fo, for sure.
E parallelamente, m’è testè venuta voglissima di provola (intesa come quella affumicata di bufala) in pizzaiola.
Certe voglie, quando arrivano, bisogna assecondarle. Noi non sappiamo il motivo per cui arrivano… ma loro si’. :)) Forse, per farmi scoprire la provola in pizzaiola. Mai fatta, urge rimediare. :))
Che bello quando il cibo evoca certi ricordi.
un abbraccio
Il cibo è un evocatore eccezionale, tra i migliori… abbraccio a voi. :))
fantastica.. con la provola deve essere spaziale!
complimenti!
Lo è, ma non è piatto da complimenti. E’ pura cucina quotidiana. Ottima, pero’. :))
Appetitoso!!!
Si’, molto buono. Un piatto da niente ma davvero molto buono. 🙂
quella che a casa mia si chiama omelette…
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Peccato tu non abbia aggiunto di dove sei:sicuramente, non di napoli. 🙂 L’uovo a filoscio è un chiaro esempio dell’influenza francese sulla cucina e sulla lingua napoletana. Ovvio che sia un’omelette, ma il nome prende il nome da “velo” (filoche): insomma, una frittata di uova molto sottile.
scusami, l’anonimato è involontario.
non sono di napoli, ma meridionale si’…:-)
E allora se sei meridionale, l’assonanza tra parole dialettali e francese, magari ti è già capitata… 🙂
certo che si’. noto che non mi riconosci…
dopo si’, ma dall’anonimo era difficile. :))
beh, si’, a meno di non avere doti medianiche…
Salve a tutti sono single della campania anche se non sono tanto pratico della cucina vorrei imparare il filoscio nel sugo come lo faceva la mia povera mamma.Senza farlo rompere.
Se qualcuno mi vuole aiutare mi farà un grande piacere.
Ringrazio ed invio la mia e mail. Manlio
mandeni@tin.it