Giornate di tristi previsioni, queste. Per i nostri portafogli, certo, ma anche per il futuro di questo Paese. Ci hanno portato sull’orlo del baratro – anche se chi ci ha portato sin qui racconta la cosa come se ci fossimo arrivati da soli – ed ora, per l’ennesima volta ci chiamano a “sacrifici“. Va bene, tanto ci siamo abituati a farne. E soprattutto, possiamo considerarci fortunati noi che ancora ci possiamo permettere di farne. Perchè in fondo al baratro, di facce ce ne sono già e tante. Ieri, per esempio, si sono aggiunte quelle degli operai di Termini Imerese: senza lavoro, dopo ventotto anni, grazie alle scelte di un’industria che – dopo essere cresciuta grazie ai contributi statali – oggi decide che in sicilia non vale più la pena di tenere aperta la produzione e lascia sul lastrico intere famiglie.
Ma non divaghiamo: sacrifici, dicevo. Anche la chiesa cattolica ha fatto la sua parte: invitandoci a farne. Grazie del pensiero, ma non era necessario. Altro mi sarei aspettata in tempi di crisi per tutti: non dico la rinuncia a beni secolari, ma – almeno – il riconoscimento del fatto che, vivendo nello stato italiano e beneficiando dei servizi da questo offerti a tutti i cittadini, il dovere di pagare le tasse esistesse anche per i membri del clero. E non dico patrimoniali e affini: solo robetta, come l’Ici, che pare verrà richiesta a tutte le famiglie. Anche le meno abbienti, con redditi bassi e mutui sulle spalle.
Probabilmente, è per questo che mi sono tornati in mente gli strangulaprievete. Gnocchi di sola semola e acqua bollente: impastati velocemente e ridotti in cilindretti. Poi, passati sui rebbi della forchetta per ottenere i solchi destinati a trattenere il sugo. Non so se ci avete fatto caso: di strangulaprievete, ce ne sono in ogni regione d’Italia. Un nome che vale un racconto e lascia immaginare di contadini destinati al lavoro e alla fame e di preti che mangiano fino a strozzarsi.
E comunque, strangulaprievete a parte, un po’ di rabbia, davanti a sacrifici continuamente offerti e mai condivisi e agli occhi di persone che perdono il lavoro ritrovandosi di colpo senza prospettive, non so voi ma io la provo.
Ingredienti
1 kg di farina di semola
acqua bollente
mezzo cucchiaio di olio
Si mette la farina a fontana sulla spianatoia e, piano piano, si versa l’acqua bollente mescolando con un cucchiaio. Una volta che l’impasto ha preso una sua consistenza, che assomiglia a quella degli gnocchi di patate, si inizia ad impastare a mano fino a che non abbia assunto un aspetto omogeneo, dalla superficie ben liscia. A questo punto, si prendono dei pezzi e si lavorano con le mani in modo da formare degli “spaghettoni” di circa un cm di diametro. Si tagliano, e si rigano con i rebbi di una forchetta. Fatto.
Si cuociono senza aspettare, tuffandoli in acqua bollente e aspettando che vengano a galla. Oppure un minuto in più, se non amate la pasta callosa. Che, appunto, strozza.
A me piacciono moltissimo, in tutti i modi. Ma, soprattutto, ai gamberi. Come quelli della foto in alto.
11 COMMENTS
Pensa! Mia suocera li fa utilizzando la farina 00 e li chiama “gnocchi pelosi”. Il perchè di questo nome non me lo ha mai saputo spiegare; comunque , a parte tutto sono ottimi. Grazie di aver condiviso, oltre alla ricetta, la rabbia e l’amarezza che è comune in ognuno di noi.
Marinella.
hai toccato un tasto dolentissimo ma purtroppo attuale..il pensiero che la chiesa predichi bene e razzoli male, mi manda in bestia, e non posso immaginare cosa provano queste povere persone a trovarsi dopo quasi 30 anni senza un lavoro…e il brutto è che sembra un’epidemia contagiosa quella delle fabbriche che, dopo essersi arricchite in Italia, vanno a fare fortuna all’estero!!
Ho mangiato i covatelli calabresi, ma mai questi..anche se da quanto ho capito, sono fatti degli stessi ingredienti!! belli questi..da provare :)!
Mai fatti così…ci provo. Ciao.
come non condividere le tue amare parole Teresa?Bella ricetta, adoro i gamberi, un abbraccio…
Ma secondo te sono la stessa cosa della pasta che qui chiamiamo strozzapreti? in realtà gli strozzapreti sono un tipo di pasta lunga (e anche qui potremmo discuterne per ore…) ma ora mi fai venire il dubbio!!!!
Ecco, per me questi sono i covatelli 🙂 semola e acqua….
per tutto il resto, condivido la tua rabbia e il tuo sdegno, forse è meglio che non mi dilunghi oltre su questo perché non so cosa potrebbe uscire dalla mia bocca… :/
Cara Teresa, quanta ragione hai e che amarezza leggere le tue parole. Condivido la tua rabbia e in tempi come questi le disparità diventano ancora di più motivi di risentimento, sdegno, vergogna. Purtroppo la mia convinzione è che questo genere di ingiustizia risiede un po’ nella natura tendenzialmente opportunistica degli italiani, o di certi italiani, per cui sarà molto difficile vedere dei cambiamenti sostanziali. Però mi piacerebbe, eccome.
PS – Senti, ma non avevi postato adesso i biscottini viennesi? tu sei una macchina da guerra, non ci si fa a starti dietro! Bacione, Pat
sai che da noi si fanno con la farina 00?ad afragola c’è un’antica trattoria che fa solo gnocchi con un ragù divino e li fanno con la farina,sarà una cosa diversa?
antonia
Cara Teresa, questo post è la tua essenza, anche per questo mi piaci:) Ottima ricetta: come la vedi come primo di una cena leggera? Verrò volentieri a vedere la tua casetta nuova, ma tu quando verrai a prendere un caffè da me che è un anno che mi sono trasferita???
No, meglio cuocerli subito. Ho corretto, comunque, era giusto specificarlo. Grazie. 🙂
Dopo la formatura e prima della cottura è meglio che riposino?